TITOLO: Dragonfly: la prossima a morire
AUTORE: Matteo Meneghini
GENERE: Thriller
CASA
EDITRICE: Amazon
TRAMA
Non
era facile stupire la commissaria Merlini, ma la vittima c’era riuscita, con
quel suo tatuaggio. Era identico a quello di Sara, uccisa due giorni prima:
sembrava fotocopiato. Le due ragazze erano simili, in tutto e per tutto, a
parte per la capigliatura. Stesso tatuaggio, stessa età, simile fisionomia,
stessa morte."
Chi è veramente il killer che ha fatto tremare tutta Verona, nel bel mezzo della stagione turistica? E chi sarà la sua prossima vittima?
Merlini perderà il sonno per risolvere un caso intricato e pieno di misteri. Ma la guerra più grande sarà con i fantasmi del suo passato, che getteranno ombre e incertezze sul suo lavoro, rischiando di farle perdere la direzione e la lucidità.
Chi è veramente il killer che ha fatto tremare tutta Verona, nel bel mezzo della stagione turistica? E chi sarà la sua prossima vittima?
Merlini perderà il sonno per risolvere un caso intricato e pieno di misteri. Ma la guerra più grande sarà con i fantasmi del suo passato, che getteranno ombre e incertezze sul suo lavoro, rischiando di farle perdere la direzione e la lucidità.
RECENSIONE
È difficile realizzare un buon giallo se
sei italiano perché non hai a tua disposizione le cupe atmosfere americane e le
intricatissime trame degli autori d’oltreoceano.
Però c’è lo stesso chi scrive un buon thriller
e Matteo Meneghini è uno di questi autori.
La sua storia, ambientata nella Verona
di Romeo e Giulietta, è ben costruita e fitta di mistero.
Tutto si svolge in breve tempo, scandito
dai titoli dei capitoli che riportano giorno e ora dei fatti, e per il lettore è
difficile non appassionarsi alle vicende del commissario Merlini e della sua
squadra.
Però, come in tante cose, c’è un però.
Anzi c’è qualche però.
Non mi è piaciuto l’eccessivo uso dei
cognomi: Merlini, Barozzi, Manzini...
Siamo in Italia, non negli States e qui
la gente si chiama per nome anche se sono colleghi di lavoro (superiori a parte
si intende) quindi questo eccessivo “cognomizzare” la gente stona.
C’è qualche piccolo refuso,
perdonabilissimo.
Ma poi arriva “la Commissaria” e qui mi
cadono le braccia.
Certo, so che esiste il vocabolo in
italiano ma uno scrittore dovrebbe sapere che quando si parla di cariche di
alto livello (e un Commissario di Polizia è una di queste cariche) occorre
usare il maschile per formalità e rispetto verso la persona che ricopre la carica.
E quindi il libro è da tre stelle,
ovvero l’elefantino un po’ perplesso.
“La
prima cosa che colpì Merlini fu il silenzio: nessun rumore, né dalla strada, né
dal corridoio. La commissaria non era mai entrata nelle camere del Due Statue:
si trattava probabilmente dell’hotel più costoso della città e – essendo nata a
Verona – non aveva mai avuto motivo di dormirvi.”
GIUDIZIO
Bello ma si può migliorare.