TITOLO: Un ragazzo normale
AUTORE: Lorenzo Marone
GENERE: Romanzo
PREZZO: 16,50 euro
PREZZO
EBOOK: 9,99 euro
CASA
EDITRICE: Feltrinelli
TRAMA
Per
Domenico, Napoli è una sottospecie di Gotham City. Con una grande differenza:
non ci sono eroi pronti a difendere gli abitanti, non c'è nessuno che si aggira
per le strade a bordo di una Batmobile a caccia di criminali. Ci sono solo
uomini normali, alcuni buoni e altri meno, alcuni pericolosi e altri
determinati a costruire una città migliore e più sicura. Eppure lui agli eroi
ci crede, ed è convinto che prima o poi uno si farà avanti.
Ha
dodici anni, Domenico, detto Mimì. Vive nel quartiere del Vomero con la sua
famiglia di sette persone – due genitori, due nonni, una sorella più grande e
uno zio – in un bilocale di pochi metri quadrati dove puoi avere un po' di
privacy solo se ti rinchiudi in bagno. Ma a lui va bene così, perché l'aria e
la libertà le ha trovate nei libri di avventura e nei fumetti di supereroi che
legge fin da piccolo e che gli hanno insegnato a sognare e a lasciare libera
l'immaginazione. Ha tantissime passioni: ama cercare paroloni strani sul
vocabolario da usare per far colpo sugli altri; ama le grandi imprese spaziali
e gli uomini che le hanno compiute; ama le avventure di Jim Hawkins e la forza
di volontà del ragazzino di Karate Kid; e ama Viola, la sua vicina di casa.
Nella
sua vita tutto procede con tranquillità, senza colpi di scena o grandi
cambiamenti. Fino al 1985. Mentre gli italiani trascorrono le serate guardando
Pippo Baudo in tv e i napoletani festeggiano l'arrivo ufficiale di Maradona nel
Napoli, Mimì incontra Sasà, un ragazzino che sogna di diventare un calciatore e
che diventerà il suo più grande amico. Passeranno insieme giornate intere,
giocheranno a pallone per strada, scopriranno il gusto di commettere piccole
bravate e inizieranno a muovere i primi passi verso l’adolescenza.
RECENSIONE
Partiamo male, anzi malissimo solo col
titolo. “Un ragazzo normale” è già discriminante, e questo non mi aiuta a
leggere questo romanzo.
Doveva essere serio.
Dico doveva in quanto parlava indirettamente
di Giancarlo Siani, giornalista ucciso dalla mafia nel 1985. Mimì doveva essere
un narratore strumento per mettere in prima fila la vera figura protagonista
del romanzo, cioè Siani.
Poi qualcosa tra l’intento e l’azione
deve essersi persa e il risultato è un romanzo di una banalità assoluta, così
piatto e poco sentito che ho fatto fatica a finire di leggerlo complice anche il fatto che sia scritto metà in italiano e metà in napoletano, e io non sopporto questo genere di scrittura dialettale quando è troppo abusata.
E dire che anche questo romanzo, come
tanti altri che purtroppo non mi sono piaciuti, aveva ricevuto tantissime
critiche positive (alcune persino da blogger che si autodefiniscono “di un
certo spessore”)...
Fa niente.
Parliamo dello stile?
Anzitutto basta con questo “prima
persona singolare, tempo indicativo presente”: ma che ca**o fai, scrivi mentre
vivi l’azione?
Sei un idiota o ci fai dentro?
Sei un idiota o ci fai dentro?
Non mi è piaciuto perché occhieggia ad
un’ironia forzata, socialmente corretta ma finto scorretta, con troppi dialettismi inseriti
tanto per far sentire il lettore a Napoli e frasi fatte buttate lì ogni tanto.
Non parliamo poi dell'idea di sottofondo "gli italiani appoggiano tutti la mafia" (andate a pagina 142 del libro e leggete la frase su Ninni Cassarà, se non ci credete).
Non parliamo poi dell'idea di sottofondo "gli italiani appoggiano tutti la mafia" (andate a pagina 142 del libro e leggete la frase su Ninni Cassarà, se non ci credete).
Cosa mi resta di questo libro?
La sensazione di aver buttato via tempo
e soprattutto soldi.
“Mentre
l’agente mi dà le spalle e continua la ricerca della chiave del portone, un
gatto rosso che mi fissa dal tettuccio di un’auto mi ruba un sorriso
malinconico. Di fronte a me svetta, silenzioso e immobile, il grande murale che
parla di Giancarlo Siani, su quella parete che un tempo accoglieva anche il mio
nome, il muro che ha visto tutto.”
GIUDIZIO
Assolutamente senza emozioni.